La Famiglia Scultura Vivente del Mistero di Dio- 1ª parte


(Relazione dettata da Sebastiano Fascetta nel corso della “Giornata interdiocesana delle Famiglie” del RnS – organizzata dalle diocesi di Catania e Acireale, 6 maggio 2018)

1ª parte

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Introduzione

[…] Desidero richiamare le parole del profeta Isaia: «nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente la vostra forza» (Is 30,15). Calma e abbandono confidente, sono le condizioni interiori ed esteriori, che ci permettono:

  • di entrare in relazione con Dio, soprattutto attraverso l’ascolto e la preghiera;

  • di vivere la relazione matrimoniale, famigliare, coltivando la fiducia e la stima reciproca.

Conversione e forza sono gli effetti di tali atteggiamenti. Il profeta non parla di una calma sterile, ma dinamica, che trasforma la vita, che cambia il cuore e la mente e fa nuove tutte le cose.

La calma è attenzione, cura, delicatezza; mentre la conversione nella relazione di coppia, implica un naturale processo di maturazione, come afferma Papa Francesco nell’esortazione Amoris Laetitia:

«Questa forma così particolare di amore che è il matrimonio, è chiamata ad una costante maturazione» (AL, n. 134).

Per amare bisogna darsi del tempo, bisogna dare tempo all’altro. La calma è una condizione che richiede un lavoro interiore di allontanamento di tutte le distrazioni che soffocano il nostro cuore e la nostra mente. Siamo spesso tirati da una parte all’altra, disgregati da tante cose da fare, da preoccupazioni e urgenze. Ritrovare la calma significa prendere possesso di sé stessi, diventare padroni di sé stessi, entrare in un stato di lucida attenzione, di profonda consapevolezza di ciò che siamo, facciamo, sentiamo, sperimentiamo. Sono queste alcune condizioni fondamentali per disporci all’ascolto.

Il tema proposto richiederebbe un approfondimento di gran lunga superiore alle poche cose che cercherò di comunicare nel rispetto del tempo a disposizione. Mi limiterò, a partire dall’Amoris Laetitia, a richiamare alcuni passaggi significativi attinenti al tema.

Inizio con una prima constatazione: la bellezza e la preziosità del sacramento del matrimonio è, in linea di massima, sconosciuto proprio a noi sposi. Presi dalle fatiche e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dalle molteplici cose da fare, viviamo la relazione coniugale senza alcuna consapevolezza della Grazia ricevuta, della “perla preziosa” che ci è stata consegnata il giorno del nostro matrimonio.

Questa trascuratezza dell’ordine spirituale della vita matrimoniale si radica, probabilmente, nell’errata convinzione che l’amore umano, tra un uomo e una donna, sia qualcosa di spontaneo consegnato all’istintualità del momento e al calore dell’emotività.

Facciamo difficoltà, infatti, a cogliere la coesistenza del divino nell’umano, nel quotidiano, nelle faccende domestiche di tutti i giorni; fatichiamo a comprendere la sessualità alla luce dell’amore di Dio, pensiamo che tutto ciò che riguarda la dimensione materiale, corporea della vita umana non attiene al divino. Per questo motivo è necessario ritornare alle sorgenti della vocazione matrimoniale (cf. AL, n. 72) e prendere coscienza:

  • della natura umana-divina della vita familiare;

  • del senso umano-profetico dell’esperienza d’amore;

  • della missione-servizio che siamo chiamati a svolgere in famiglia, nella Chiesa e nel mondo.

Per superare determinati e radicati pregiudizi è quanto mai necessario metterci in ascolto della Parola di Dio, per imparare a conoscere Cristo Sposo e diventare capaci di amare come Lui ci ama.

La Parola di Dio è la pietra angolare (cf. 1Pt 2,4ss; Mt 7,24ss) sopra la quale costruiamo la nostra vita di coppia. Senza la Parola di Dio, alle prime difficoltà e crisi, corriamo il rischio di essere travolti inesorabilmente dal vento della disperazione, disgregazione, divisione e devastazione.

La Parola è luce, lampada, che illumina il nostro cammino (cf. Sal 119,105); come lampada che “brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,19b). Papa Francesco scrive a tal proposito:

«La Parola di Dio non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino, quando Dio “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno”(Ap 21,5)» (AL, n. 22);

«La Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie» (AL, n. 227).

 

Offrite i vostri corpi

La Parola che vi propongo è tratta dalla Lettera di San Paolo ai Romani: 12,1-2.9-13:

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.

La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.

Brevi considerazioni spirituali su Rm 12,1-2

I primi due versetti sono particolarmente eloquenti da un punto di vista teologico-spirituale, infatti, al centro dell’esortazione dell’apostolo vi è la “misericordia di Dio”, letteralmente le “misericordie di Dio”. Espressione che richiama un versetto del libro della Lamentazionile grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie” (Lam 3,22). Papa Francesco, scrive al n.322 dell’Amoris Laetitia:

«Tutta la vita della famiglia è un “pascolo misericordioso”. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro».

Immagine alquanto significativa quella del “pascolo misericordioso” o di “ospedale”, come scrive Papa Francesco al n. 321 «Ecco perché la famiglia è sempre stata il più vicino ospedale», ovvero luogo in cui ciascuno di prende cura dell’altro.

Al centro della vita cristiana, ecclesiale e matrimoniale vi è la misericordia di Dio, il suo chinarsi sulle nostre miserie (cf. Es 3,7ss). Dio ci ama gratuitamente e liberamente, senza condizione alcuna. Dio ci ama nonostante il nostro peccato, nonostante il nostro rifiuto (cf. Rm 5,8). Il suo amore è indelebile, eterno e fedele:

«Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi» (AL, n. 108).

Prosegue l’apostolo “a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il nostro culto spirituale” (letteralmente “logico”, culto della Parola). Sembra emerge un paradosso: da un lato si parla di misericordia e dall’altro di offerta, sacrificio. Come conciliare le due cose? Bisogna intendere bene i termini utilizzati, poiché l’apostolo non esorta ad alcun sacrificio, alcuna rinuncia, piuttosto compie un’operazione di svuotamento della logica sacrificale per evidenziare l’amore che deve permeare ogni ambito esistenziale dei cristiani. L’apostolo parla di “sacrificio vivente”, vero e proprio ossimoro, infatti, dove c’è sacrificio, cioè distruzione, non può esserci vita e viceversa. Per capire questo versetto è utile ricordare ciò che afferma la lettera agli Ebrei: “Tu non hai voluti né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato…” (Eb 10,5; Sal 40,7-9 versione dei LXX). Dio non vuole né sacrifici né offerte: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13; Os 6,6).

Il corpo è il luogo delle relazioni per mezzo del quale è possibile sperimentare l’amore, entrare in relazione con Dio, con gli altri, con tutta la creazione. La corporeità rivela la condizione relazionale di ogni essere umano, il suo essere relazione. L’uomo non solo ha un corpo ma è corpo: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1Cor 6,19-20). È all’interno del vivere coniugale, familiare, che glorifichiamo Dio. Non si tratta di trovare spazi “sacri” per rendere gloria a Dio, ma di vivere in pienezza e consapevolmente la vita di tutti giorni. È nel concreto delle nostre esistenze che facciamo esperienza della presenza dello Spirito Santo e rendiamo gloria a Dio:

«la presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani» (AL, n. 315).

Alla luce di ciò possiamo comprendere l’esortazione di Paolo nella Lettera agli Efesini: “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ef 5,28).

Amare il “proprio corpo” non significa semplicemente amare la propria corporeità, ma prendersi cura delle relazioni che fondano l’amore coniugale, famigliare. Per amarsi, moglie e marito, non soltanto devono vivere l’unione sessuale, corporea, ma diventare una “sola carne” prendendosi cura delle relazioni:

«Il verbo “unirsi” nell’originale ebraico indica una stretta sintonia, un’adesione fisica e interiore….si evoca così l’unione matrimoniale e non solamente nella sua dimensione sessuale e corporea, ma anche nella sua donazione volontaria d’amore» (AL, n. 13).

Sebastiano Fascetta

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