Matrimonio, vocazione alla comunione


«Il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani solo quando rispecchia l’amore che Cristo-Sposo dona alla Chiesa sua Sposa, e che la Chiesa cerca di ricambiare a Cristo» (Udienza Generale, 18 agosto 1982).
Questa affermazione è una delle più significative che san Giovanni Paolo II ha pronunziato in occasione delle sue “Catechesi sull’amore umano” e che ogni coppia di sposi dovrebbe sempre avere come riferimento soprattutto quando, in talune circostanze, è più forte la tentazione di far prevalere i propri egoismi sulle esigenze dell’amore.
Non può passare inosservato quel «solo quando», che pone in evidenza in maniera inequivocabile la natura dell’amore donato – lo stesso che Cristo ha per la Chiesa – al di fuori del quale i coniugi non “corrispondono” alla loro vocazione matrimoniale. Affermazione tremenda, che dovrebbe indurci a comprendere quanto sia difficile praticare questa strada senza l’intervento soprannaturale della grazia sacramentale, aiutati, magari, da un serio esame di coscienza e da una buona confessione.
La posta in gioco è alta e riguarda la comunione coniugale e familiare la quale, ci ricorda San Giovanni Paolo II, «può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio» (Familiaris Consortio, n. 21).
Quali conseguenze possono presentarsi nella nostra vita matrimoniale e familiare se non “rispecchiamo” l’Amore donato? E quali sono, invece, gli atteggiamenti, le scelte, i gesti, le parole, che testimoniano l’aver preso sul serio la decisione di conformarci a questo Amore per il bene del nostro coniuge e, di conseguenza, della nostra famiglia?
Certo è che, le inevitabili crisi, delle quali noi stessi spesso siamo responsabili, non possono essere affrontate «in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio». (Amoris Laetitia, n.41).
L’esperienza ci insegna che, nel matrimonio, non è possibile evitare di fare i conti con i limiti umani dati dal carattere, dall’educazione, dalle ferite di ciascuno, limiti che bisogna accettare ed amare, innanzitutto in noi stessi, se davvero desideriamo partecipare, alla meravigliosa esperienza del reciproco dono-per-dono, “unica via”, abbiamo visto, per rispondere alla nostra vocazione. Per tale motivo è fondamentale, per accettare ed amare ciò che siamo, conoscere la nostra realtà umana fatta di esperienze che coinvolgono il nostro essere persona, corpo e spirito insieme.
Ce lo spiega bene san Giovanni Paolo II: «L’uomo è un soggetto non soltanto per la sua autocoscienza e autodeterminazione, ma anche in base al proprio corpo. La struttura di questo corpo è tale da permettergli di essere l’autore di un’attività prettamente umana» (Udienza Generale, 31 ottobre 1979). Il Salmo 8 ci ricorda che Dio ci ha fatti «poco meno degli angeli» ma ci ha coronati di «gloria e di onore» (cfr. Sal 8,6) rendendoci partecipi del suo amore e dandoci la capacità di poterlo ricevere e donare attraverso il nostro corpo – cosa che le creature angeliche non possono fare – come Cristo-Sposo si dona alla Chiesa-Sposa: l’offerta visibile per la nostra redenzione è rappresentata proprio dal Suo corpo inchiodato sulla Croce.
Allora, anche noi sposi, consapevoli della nostra vocazione, siamo chiamati a manifestare la donazione di noi stessi attraverso il nostro corpo, anzi, possiamo donarci solamente grazie ad esso. Come potremmo quindi entrare nella logica del dono se non percepiamo, non conosciamo, non accettiamo e non siamo completamente riconciliati con il nostro corpo? «Non ci si può donare nel proprio corpo senza amare questo corpo e, allo stesso modo, perdonare all’altro i limiti del suo corpo al fine di poterlo vedere come strumento del suo dono» (Ives Semen).
La finalità del nostro reciproco donarci è dunque la comunione, che deve riflettere quella trinitaria di cui, per mezzo del sacramento delle nozze, siamo stati resi partecipi. Per questo, chiedendo incessantemente luce allo Spirito Santo, il nostro impegno di sposi deve essere quello ricercare ed eliminare tutti gli ostacoli che impediscono di essere “una sola carne”,  in attesa di ricevere il grande dono: vivere in pienezza con Dio nella risurrezione.

Soraya e Michele Solaro