Il Vangelo nella Famiglia – 9 settembre 2018


Riflessione sul Vangelo della XXIII domenica del tempo ordinario

di Soraya e Michele Solaro

Le guarigioni, testimoniate per iscritto dai vangeli, ci parlano spesso del costante bisogno che ha l’uomo di sentirsi guarito, risanato, liberato; ci può sempre essere qualcosa nella nostra esistenza che esprime un malessere a causa delle ferite del corpo o dell’anima.

Non è una novità, ed il brano del Vangelo di Marco in un certo senso lo conferma, che davanti ad una specifica necessità umana Gesù rimanga quasi in attesa di un atto di fede da parte di chi manifesta una sofferenza o di chi intercede, di chi ha a cuore il bene del suo prossimo. Il Maestro ci fa comprendere che la guarigione, fisica o spirituale, presuppone sempre la fede in Lui, perché solo Gesù ha il potere di guarire da ogni malattia, liberare da ogni ansia, scacciare via ogni paura.

Quando Gesù sta per guarire qualcuno lo tocca, Lui non evita il contatto con l’umanità ferita, vuole così entrare in relazione con l’altro, perché gli uomini e le donne che riconoscendolo si affidano a lui, rinfrancati dalla sua prossimità, pur consapevoli della propria miseria, possano fare esperienza della misericordia.

La nostra vita matrimoniale, rappresentazione incarnata dell’amore misericordioso di Dio, ci offre continue occasioni che permettono di “soccorrerci” reciprocamente. In quanto sposi, siamo realmente per l’altro quell’aiuto riconoscibile, adeguato, insostituibile, pronto a farsi abbraccio, pianto, ascolto, parola di Gesù Sposo, che abita la nostra relazione di coppia. Non è sempre facile, però, riconoscere i malesseri e i disagi che il nostro coniuge può avere in un determinato momento della sua vita, della nostra vita insieme, soprattutto quando affiorano gli effetti di quelle  ferite “lontane”, ma profondamente radicate in fondo al cuore; sono quegli atteggiamenti apparentemente incomprensibili, decodificabili come vere e proprie richieste di aiuto. È in momenti come questi che siamo chiamati a soccorrere l’altro, a curare, a toccare amorevolmente le sue ferite, anche quando non ne comprendiamo la causa; sono i momenti nei quali ci è richiesta, per fede, la consegna totale ed incondizionata di noi stessi a nostra moglie, a nostro marito. Certamente, non è facile, ma solamente lasciando agire la grazia del sacramento delle nozze nella nostra vita insieme, ogni gesto affettuoso donato, ogni abbraccio scambiato, ogni attenzione riservata all’altro, diventarà strumento per essere risanati nella potenza dello Spirito di Gesù, il risorto.

Questa domenica, ascoltando il Vangelo, teniamoci per mano e chiediamo con fede al Signore di essere capaci di ascoltare la sua voce ed accogliere il suo: «Effatà», per ricevere vita nuova in abbondanza.

 

Dal Vangelo secondo Marco

Mc 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».