La nostra casa, luogo di preghiera


Gesù, Signore della vita matrimoniale, entra nelle nostre case, “come uno di famiglia”; è con noi, desidera condividere tutto della nostra esperienza famigliare, in modo particolare i nostri inevitabili fallimenti, le nostre cadute, crisi, malattie, sofferenze. Gesù non ama la famiglia “ideale”, ma quella reale affinché, come coniugi, genitori, figli, possiamo accoglierci così come siamo e sperimentare la potenza trasformatrice dell’amore.

La casa può essere luogo di guarigione se con Gesù compiamo gesti quotidiani di cura e tenerezza, facendoci “vicini” gli uni gli altri, accorciando ogni distanza precauzionale a salvaguardia della propria individualità; “prendendoci per mano” sostenendo chi è più debole e bisognoso; “sollevando” chi è stanco e affaticato, rimettendo al centro delle relazioni familiari il bene e il meglio per ciascuno.

Come coniugi e genitori possiamo fare della nostra casa il luogo in cui impariamo a parlare a Gesù, gli uni degli altri, intercedendo, invocando la sua misericordia, spalancando le porte del nostro cuore al soffio leggero e impetuoso dello Spirito Santo. Usciamo dal fitto buio delle nostre angosce e disperazioni e mettiamoci, attraverso la preghiera, “nelle tracce” del Cristo Risorto. Guidati dallo Spirito Santo chiediamo con fiducia a Dio Padre che la sua volontà “sia fatta in casa nostra come in cielo”.

«La preghiera in famiglia è un mezzo privilegiato per esprimere e rafforzare questa fede pasquale. Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici, questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia» (Papa Francesco Amoris Leatitia n.318).

Dalla preghiera alle relazioni di coppia

Tra gli effetti umanizzanti e rigeneranti della preghiera in famiglia è da annoverare la capacità di vivere il quotidiano con uno sguardo “altro” e con uno sguardo “alto”, che ci permette di riconoscere, nella semplicità dei gesti domestici, la bellezza dello stare insieme, senza lasciarsi logorare dal tempo che passa, senza cedere alle pulsioni egoistiche e disgreganti che spesso affiorano dirompenti all’interno delle nostre relazioni.

Noi comunichiamo e costruiamo la comunione attraverso il linguaggio dei gesti, sviluppando un senso sincero e profondo di cura reciproca, di delicata custodia, nel giusto rapporto tra vicinanza e distanza, tra prossimità e lontananza.

La preghiera è sempre esperienza di vicinanza e di lontananza. Dio dimora in noi ma è anche altro da noi. Sentiamo la sua vicinanza, ma al contempo avvertiamo la sua alterità. Pregare non vuol dire “afferrare” Dio per ricollocarlo negli spazi angusti delle nostre aspettative, piuttosto, essere da Lui “afferrarti” per dimorare negli spazi infiniti del suo cuore.

Se come coppia, entriamo nel dinamismo orante dell’incontro con Dio possiamo, di conseguenza, assumere la “postura” relazionale dello Spirito, ovvero la capacità di esprimere l’amore coniugale, l’amore genitoriale, secondo il ritmo benefico della vicinanza e della lontananza, dando corpo a gesti e atteggiamenti che manifestano la prossimità e rispettano le diversità di ciascuno, senza imporre la propria visione delle cose, bensì armonizzando ogni differenza caratteriale, culturale, emotiva, con un fare accogliente e mite.

La coppia vive di gesti di tenerezza come:

  • una carezza che stabilisce un contatto delicato, gratuito, rispettoso, discreto;

  • un bacio nello scambio intimo del medesimo respirare, quasi assaporando la dolcezza dell’anima «le tue labbra stillano nettare, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano» (cfr Ctc 4,11)

  • un abbraccio per sentirsi protetti, portarti nel cuore, avvolti dal calore dell’amore umano, primizia di vita piena.

Per coltivare una relazione bisogna:

  • dare tempo a Dio per pregare; dare tempo a nostra moglie, marito, figli, per crescere nell’amore reciproco. Dare tempo significa donare qualcosa di sé, mettersi a disposizione dell’altro, gratuitamente, con profondo interesse e attenzione. Spesso le nostre case sono un coacervo di gesti meccanici e accelerati, di parole dette al vento, dove impera la fretta e non ci accorgiamo gli uni degli altri, tutti presi dalla tirannia delle abitudini. Facciamo persino fatica a dare valore e vigore all’atto più semplice ed elementare che è quello del salutare. Si entra e si esce da casa e magari non ci si saluta neppure. Non c’è vero incontro se non siamo capaci di dare valore al saluto, augurando il bene a nostra moglie, a nostro marito, ai nostri figli. La bella notizia dell’amore di Dio entra nelle nostre case quando diamo dignità, attraverso lo sguardo, i gesti e le parole al saluto «Entrando nella casa, rivolgetele il saluto» (Mt 10,12); «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena ebbe udito il saluto di Maria, il Bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,41);

  • aprire gli occhi per vedere oltre ogni pregiudizio, paura, egoismo. Vedere l’invisibile; vedere senza creare disagio, senza curiosare. Vedere il buono e il bello che caratterizza ogni persona, senza indugiare sui difetti con sguardo giudicante. L’amore passa attraverso lo sguardo «tu hai rapito il mio cuore con un solo tuo sguardo» (Ctc 4,9);

  • saper comunicare attraverso il linguaggio, proferendo parole utili alla crescita e allo sviluppo della comunione. La parola è un dono infinito capace di bene o di male infinito. Quante esperienze di lacerazione e divisione all’interno delle famiglie per parole violente, scagliate come frecce mortali. La relazione in famiglia, come in qualunque ambito esistenziale, passa, inevitabilmente, attraverso la parola. L’amore necessità di parole buone che nascono da un cuore buono, da pensieri buoni. Le parole creano vibrazioni benefiche quando sono mosse dall’amore «la voce del mio amato che bussa» (cfr Ctc 5,2). La voce inconfondibile di chi ci ama, risuona nelle profondità del nostro essere, come pane quotidiano che nutre ogni relazione e ci autorizza ad essere autenticamente noi stessi. Coltivare la comunicazione, dialogare in famiglia, darsi tempo per parlare e ascoltare, è necessario come l’aria che respiriamo per fare delle nostre case un luogo di vera umanizzazione;

  • saper attendere i tempi dell’altro/a, senza affrettare le soluzioni. Arte difficile che esige pazienza, cioè la forza di sostenere i limiti dell’altro, senza volerli modificare o annullare. L’attesa non è mai indifferenza ma mite attenzione, pacifica accoglienza, profonda libertà da sé stessi, riconoscimento del valore inestimabile dell’altro/a. L’attesa a volte fa soffrire soprattutto quando si prolunga nel tempo, ma alla fine produce un frutto maturo di gioia e pace.

«L’amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che metta altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare la relazione» (Papa Francesco, Amoris leatitia n.224).
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​​​​​​​​​​​​​​Sebastiano Fascetta